Zero hashtag, zero BOT. Così ho “piallato” le finte interazioni su Instagram

Zero hashtag, zero BOT. Così ho “piallato” le finte interazioni su Instagram

L’orgasmo del maiale 2.0

Quello di cui voglio parlarvi oggi non è l’ennesimo social-esperimento in cui mi sono lanciato, ma l’analisi di quanto accaduto su Instagram durante l’ultima settimana.

Non sempre, infatti, è necessario mettersi lì a smanettare per ottenere le risposte di cui si ha bisogno. A volte basta agire con naturalezza e queste arrivano da sole.

È il caso dei miei ultimi 7 giorni di attività all’interno dello sfavillante Social delle foto, durante i quali non ho fatto altro che comportarmi nel modo più naturale del mondo, ovvero postando immagini del mio quotidiano solo per il gusto di farlo.

Niente calcoli, niente strategie, niente interminabili sequenze di selzionatissimi hashtag piazzate lì allo scopo di catturare l’attenzione di questo o quel profilo.

Solo foto. Le mie foto. Anche quelle sgranate, fatte con poca luce o uscite mezze sfocate. ‘Sticazzi. Non me ne è fregato niente. Le ho pubblicate e basta. Mi andava.

Eppure, tutta questa noncuranza mi ha comunque portato a fare un’importante scoperta, ovvero ad avere la conferma che su Instagram, se non si utilizzano gli hashtag (aka i cancelletti, per coloro che non amano l’inglese), i BOT ti ignorano.

E, non so voi, ma per un sostenitore dell’interazione genuina come lo sono io, vedere che i like, i commenti e i nuovi follower arrivati nel corso della settimana sono stati tutti (o quasi) opera di persone in carne ed ossa è un’immensa goduria.

Lasciate, quindi, che vi mostri alcuni esempi…

BOT ce sarai te e 3/4 della palazzina tua

Quello che vedete qui sotto è il mio profilo Instagram. I 9 scatti in primo piano sono stati tutti pubblicati tra il 19 e il 26 maggio, ovvero tra il sabato in cui ho partecipato al Digitalklive 3.0 come relatore e quello subito successivo.

Bennaker - Profilo Instagram

Come potete vedere, i soggetti sono tanti e piuttosto diversi. Ho fotografato mia nonna, la mia vasca da bagno, una confezione di biscotti, un libro, me stesso mentre fingo di fumare una pipa-gelato della Stocchi… Sono un coglione, lo so.

Ho postato anche una porzione di un’interessante infografica trovata su LinkedIn giusto qualche giorno fa, nonché l’immagine di copertina dell’articolo di lunedì scorso, ovvero l’unica immagine alla quale ho allegato un discreto carico di hashtag.

Ognuna di queste foto ha ottenuto un’attenzione e un riscontro diversi.

Quella in cui fa da sfondo la ragazza con la gonna rossa, ad esempio, scattata da un amico il giorno del Digitalklive 3.0, ha raccolto 71 cuori e 13 commenti. Quella della falena a mollo nella mia vasca da bagno, invece, solo 11 cuori e 6 commenti.

Non è, però, la quantità delle interazioni l’aspetto sul quale voglio focalizzare la mia e la vostra attenzione, ma la loro qualità. O meglio, la loro genuinità.

Esclusa l’immagine del ragazzino che mostra i muscoli, infatti, le altre sono quasi del tutto prive di hashtag (#Digitalklive e #Giunti tra le rarissime eccezioni). Questo ha fatto sì che le interazioni siano arrivate solo ed esclusivamente dai profili Instagram di amici, conoscenti, lettori del blog, etc.

Gente vera, insomma. Nessuno stramaledetto BOT o comunque nessun profilo di web agency cingalesi o Suicide Girls ormai quarantenni è venuto lì a mettere like, commentare con “WOW! You made my day <3”  o darmi il suo inutile follow.

In pratica, una volta abbandonato l’uso degli hashtag, tutta la merda che infestava il mio profilo sembra essersi magicamente volatilizzata e le interazioni sono tornate ad essere umane, vere, genuine.

Non è meraviglioso? Non è esattamente questo il tipo di interazioni che una qualsiasi risorsa social, personale o aziendale che sia, dovrebbe desiderare?

Che poi, se volessimo fare un discorso squisitamente cinico, quelle che comprano (un prodotto, un servizio, etc.) sono le persone, mica i BOT. Quindi…

Quand’ero piccolo, tutti mi scherzavano

In conclusione, se siete così fortunati da non soffrire di celolunghismo social o, molto più semplicemente, non siete circondati da idioti che valutano l’efficacia della vostra comunicazione basandosi sul numero di follower che avete, provate a smetterla di zeppare i vostri post di hashtag. Tanto il 90% delle interazioni che portano è merda. Ed è il modo più gentile che esiste per definirla.

Vedrete che chi vi segue con interesse continuerà a farlo, con il risultato che si porterà dietro gente, la quale porterà altra gente e quindi altra gente ancora.

Che siate brand, aspiranti influencer o semplici utenti senza alcun obiettivo di fama o notorietà, non avete comunque bisogno di questa roba.

Instagram, purtroppo, non sta facendo abbastanza per limitare certe schifezze, quindi sta a voi cautelarvi e darvi da fare. E potete farlo già da subito.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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