Peeple: la app per recensire le persone. E sei subito Dio!

Peeple: la app per recensire le persone. Ma chi siamo? Dio?

Dio è morto, le app no

Oggi è il 5 ottobre 2015 e la app della quale sto per parlarvi non è ancora disponibile.

Si chiama Peeple e, secondo quanto scrivono i giornali, tra i quali Il Post, questa app permetterà di recensire le persone, un po’ come si fa con i ristoranti su Trip Advisor o gli hotel su Booking.

Volendo citare l’articolo dedicatole da Il Post:

Quando l’app di Peeple sarà disponibile, probabilmente verso la fine di novembre, si potranno dare recensioni da una a cinque stelle di chiunque si conosca: i propri ex partner, i colleghi, il signore anziano che vive nella casa accanto. Non ci si può escludere: una volta che qualcuno mette il tuo nome su Peeple, resta lì a meno che non ci siano violazioni delle condizioni del servizio, e d’altra parte già oggi nessuno può impedire a nessuno di scrivere online un’opinione sul proprio vicino di casa, a patto di rispettare le leggi su diffamazione, ingiurie, eccetera. E non si possono cancellare recensioni negative o parziali: farebbe venire meno il principio stesso dell’app.

Un ristorante, un hotel, un internet provider, una compagnia assicurativa, ok… Ma una persona?

Come si può anche solo immaginare di poter recensire una persona?

Darle dei voti, consigliarla o sconsigliarla agli amici. Dire “Ok, è simpatica, fateci amicizia!” oppure “No, è una stronza, lasciatela perdere”, correndo il rischio che più di qualcuno si basi sul nostro giudizio al fine di decidere se e come interagire con l’individuo recensito.

Ma chi ci crediamo di essere? Dio?

Io non sono credente, ma…

Francamente, in un mondo popolato per 3/4 da ignoranti e imbecilli (sì, sto esprimendo un giudizio, ma non sul sig. Mario Rossi nello specifico, cosa che non farei mai in uno spazio ad accesso libero come può essere un blog), a me spaventa sapere di poter essere valutato come persona dal primo stronzo che passa.

Anche non fosse il primo, ma il secondo, il terzo o il centesimo, il discorso non cambia: nessuno ha il diritto di giudicare nessuno, se non curandosi del fatto che il proprio giudizio rimanga all’interno dell’ambito strettamente privato, quindi a livello di confidenza tra amici.

Ma così? Online? Sotto gli occhi di tutto e tutti? Rischiando magari di rovinare la vita a un povero Cristo solo perché una volta ci ha negato un favore o semplicemente parcheggia male l’auto.

Stiamo scherzando?

Ripjateve Peeple e aridatece Bill!

Aveva ragione Bill Hicks quando parlava di marketing, riferendosi a quello più estremo e becero:

“Se qualcuno qui lavora nella pubblicità o nel marketing… Uccidetevi! Non esiste giustificazione per ciò che fate. Siete dei piccoli aiutanti di Satana. Uccidetevi. Seriamente. Rovinate tutto ciò che è bello. Siete la genia di Satana che riempie il mondo di bile e spazzatura. Voi siete fottuti e ci state fottendo. Uccidetevi. È l’unica maniera per salvare la vostra fottuta anima. Attaccatevi al tubo di scarico, impiccatevi, fatevi prestare una pistola da un amico yankee. Non mi interessa come lo fate: liberate il mondo dalle vostre malvagie macchinazioni del cazzo. Piantatela di mettere il simbolo del dollaro su ogni fottuta cosa di questo pianeta. Uccidetevi!”

Morendo nei primi anni ’90 ti sei risparmiato il peggio, Bill. Credimi.

A mali estremi, estremi mea culpa

Voglio essere catastrofico ed eccessivo, anche perché catastrofi ed eccessi, che la cosa piaccia o meno, fanno parte di questo mondo: e se domani una persona con un carattere fragile, magari un ragazzo, vistosi sputtanare, probabilmente  in modo del tutto pregiudizievole e in un luogo virtuale in cui è consentito farlo, prende e s’ammazza?

Che facciamo? Piangiamo il morto e ci battiamo il petto come al solito?

E sì, so che queste cose accadono già “a causa di Facebook”, ma dare vita ad una piattaforma incentrata proprio sul giudicare il prossimo lo trovo da incoscienti.

Facciamoci un favore: estinguiamoci e chiudiamola qui.

Immagine di copertina tratta da Facebook

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Simone Bennati

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2 risposte

  1. Antonio Picco ha detto:

    Ci aveva già pensato Dante, quando nella Divina Commedia decideva chi mettere nell’Inferno, chi nel Purgatorio e chi nel Paradiso. Non sono per nulla originali questi creativi delle app.

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