Un giorno da formatore: 3 dritte per evitare problemi tecnici e brutte figure

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Giorni fa, in modo del tutto inaspettato, ha bussato alla mia porta un’occasione che attendevo da tempo: quella di andare a parlare di Digital ai ragazzi delle scuole.

Essendo figlio di un’insegnante, vi lascio immaginare quale emozione abbia generato in me l’arrivo di questa opportunità: un mix di orgoglio, paura ed euforia.

Formalizzato l’incarico e passata la fifa iniziale, ho quindi dato il via alla realizzazione di un programma di studio fresco, attuale e fortemente orientato al confronto, il quale mi permettesse di coinvolgere i ragazzi in un vero e proprio dibattito.

Terminati i lavori e confezionate le slide di rito, il Furio Zoccano che è in me (quello di: “Magda, tu mi adori?”) ha prepotentemente preso il controllo, costringendomi a stilare una lista dei problemi che avrei potuto incontrare nel corso della lezione.

Dato questo, oggi voglio condividere con voi 3 buone pratiche che, una volta in aula, vi eviteranno di incappare in spiacevoli problemi tecnici e relative brutte figure.

D’altronde, come diceva Forrest Gump parlando della possibilità di pestare una cacca di cane, “Shit happens”, quindi meglio farsi trovare preparati.

Di cavi, adattatori e prese in quantità

Chi ha collezionato ore di lezione come formatore lo sa: quando ti spediscono da qualche parte a insegnare, non sai mai quale dotazione tecnica troverai ad attenderti, né se la stessa sarà in grado di supportare la tua performance.

Proiettori dell’anteguerra privi di ingressi HDMI o telecomando; lavagne multimediali su cui è montato Windows 10, ma dotate di una quantità di RAM inferiore a quella presente in un qualsiasi smartphone di fascia economica; connessioni Wi-Fi che, in base alle condizioni meteo del momento, sono più o meno ballerine…

Insomma, ogni situazione nasconde le sue sorprese e, specie dal punto di vista dell’hardware e della cavetteria, è bene considerare ogni possibile condizione.

Nel mio caso, ad esempio, il Chuwi Lapbook Air con cui mi accompagno non ha l’ingresso RJ45 – quello a cui si attacca il cavo di rete, per capirci – ed è dotato di una scomoda uscita mini-HDMI, il cui formato è tutt’altro che diffuso.

Onde scongiurare il rischio di non riuscire ad attaccarlo a proiettori/monitor datati, rimanere senza connessione Internet o, ancor peggio, non poterlo collegare alla rete elettrica, sono solito portare con me numerosi cavi e adattatori.

Tra tutti, quelli a cui non potrei mai rinunciare sono:

Un sacco di roba strana, vero?

Eppure, tutti questi aggeggi mi salvano la vita ogni volta che giro con il mio notebook, ragion per cui non li tolgo mai dallo zaino.

Chiamatela pure paranoia, se volete, ma ricordate che, come recita lo spot pubblicitario di una nota marca di dentifrici, “prevenire è meglio che curare”.

Una presentazione, mille formati

Ora che abbiamo visto come sono solito prepararmi dal punto di vista hardware, passiamo a un aspetto altrettanto essenziale e delicato: quello del software.

Premesso che è mia abitudine realizzare le slide con Google Presentazioni, il rischio di non poter contare sulla connessione Internet mi obbliga a salvare ogni singola presentazione anche in locale, nonché in formati differenti.

Dato questo, ogni volta che ho finito di lavorare a una presentazione, mi curo di esportarla in N formati diversi, come il .PDF, il .PPTX e l’.ODT.

Così facendo, nel caso in cui non dovessi riuscire a collegarmi a Google Slides, potrei comunque aprire la mia presentazione attraverso altri software, quali Adobe Acrobat Reader DC, Microsoft PowerPoint, LibreOffice Impress.

Se poi volete essere proprio bravi bravi bravi, lasciate che vi dia un consiglio: scrivete i testi delle vostre slide utilizzando i Google Fonts. Questi, infatti, possono essere liberamente scaricati e installati sulla macchina sui cui caricherete la vostra presentazione, così da evitare ogni possibile scazzo grafico.

E io, con tutti gli eventi digital che mi sono fatto, ne ho viste di slide scazzate…

Senza rete, come i veri equilibristi

Ultima, ma non meno importante, la questione del dove salvare le presentazioni.

Considerando nuovamente il fatto che potremmo non disporre della connessione Internet, è importante salvare il materiale necessario su più unità locali.

Io, ad esempio, sono solito salvare una copia delle mie presentazioni su:

  • Il desktop del mio PC portatile
  • Una chiavetta USB sulla quale non è presente nient’altro
  • La memoria interna del mio smartphone
  • Il mio spazio Google Drive, attivando l’opzione Disponibile Offline

In particolare, quest’ultima opzione permette di aprire i documenti ospitati su Google Drive anche quando non si è collegati Internet. Per far sì che la cosa funzioni, però, è prima necessario installare una speciale estensione di Chrome.

Pensate sia troppo? Forse lo è, ma ricordate cosa dicono Murphy e le sue leggi

Non lo fai per te, lo fai per gli altri

Queste, in buona sostanza, le precauzioni che ho ritenuto opportuno adottare in vista delle mie primissime (e mi auguro non ultime) esperienze come formatore.

Prima di salutarci, vorrei comunque sottolineare una cosa: se da un lato riconosco di essere vittima di una strana forma di ipocondria tecnologica, dall’altro è altrettanto vero che non mi comporto in questo modo solo perché ho paura di fare brutte figure, ma anche e soprattutto perché non voglio che chi è venuto ad ascoltarmi viva un’esperienza negativa a causa di problemi di natura tecnica.

È una questione di rispetto per il pubblico, insomma. Che si tratti dei ragazzi delle scuole, di un gruppo di appassionati di Social Media in cerca dell’illuminazione o di un mandria di arzilli nonnetti con il pallino della comunicazione, credo sia preciso dovere di un formatore prepararsi non solo dal punto di vista nozionistico, ma anche da quello tecnico, cercando di allontanare ogni possibile rischio.

Credo che la serietà di un formatore si veda anche da queste cose e, se uno tiene veramente a ciò che fa, allora dovrebbe anche considerare la possibilità di dover lavorare in condizioni non ottimali, dimostrando di essere organizzato e previdente.

“Shit happens”, è bene non dimenticarlo mai.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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