La visibilità sui Social non si chiede, si guadagna

La visibilità sui Social non si chiede, si guadagna

Scusi, vuol ballare con me?

Chi ha appena lanciato la Pagina Facebook della propria azienda o di un qualsiasi progetto lo sa: ottenere visibilità sui Social non è affatto semplice, specie se si è agli inizi e non si ha la possibilità di investire nell’advertising.

Che l’obiettivo sia quello di far conoscere il proprio brand o di favorire la circolazione di un contenuto, una delle prime cose che si tendono a fare è scrivere ai propri contatti chiedendo: “Mi aiuteresti a far girare questa cosa? Grazie!”.

Premesso che comprendo le ragioni alla base di certe richieste, va comunque detto che ci sono delle regole da rispettare e che, tra la visibilità richiesta e quella ottenuta spontaneamente, c’è un’enorme differenza.

Partendo da due episodi che mi hanno coinvolto personalmente, voglio spiegarvi perché fare il giro delle 7 chiese al fine di elemosinare visibilità può spesso risultare un’attività inutile, se non addirittura disturbante per chi la subisce.

Ogni giorno, in Italia, un cane si sveglia e sa che il suo muso finirà su Facebook

Immaginate di trovarvi sdraiati sul vostro letto. Sono le 9:30 di domenica mattina e ancora non avete trovato il coraggio di alzarvi e andare a preparare il caffè.

Mentre siete lì che vi domandate chi siete, dove siete e perché state indossando le mutande al contrario, il vostro smartphone comincia a vibrare e lampeggiare di blu.

Qualcuno vi ha appena scritto su Messenger. Potrebbe essere un cliente. O magari vostra madre, ansiosa di sapere se andrete a pranzo da lei oppure no.

Spinti dalla curiosità, afferrate pigramente il telefono e, dopo aver sbagliato per ben 2 volte il PIN, aprite l’inatteso messaggio: a scrivervi è Laura, un’ex compagna di classe che non sentite da almeno tre anni, ovvero da quando si è trasferita a La Spezia col suo uomo, un percussionista giamaicano conosciuto la sera prima.

Senza neanche salutarvi, Laura scrive che il suo cane è scappato di casa e che ha appena postato su Facebook la foto con allegate tutte le informazioni.

Saltato e piè pari il link al post, il messaggio di Laura si conclude con una richiesta a dir poco esplicita: “Lo condivideresti con tutti i tuoi amici? Grazie! Ciao”.

Questo, in buona sostanza, è quanto mi è capitato circa una settimana fa, quando un amico che non sentivo da anni e che vive dall’altra parte dell’Italia mi ha contattato per farmi una richiesta molto simile a quella avanzata da Laura.

Chiuso il messaggio, la domanda che mi sono posto è stata: “In 10 anni che sono su Facebook, quando mai ho condiviso una roba del genere? E poi, visto che 3/4 dei miei contatti vivono a Roma, chi vuoi che abbia visto il tuo pelosissimo cane?”.

È evidente, quindi, che il mio amico non avesse tenuto conto di 2 importanti parametri: le caratteristiche dei miei contatti – posizione geografica in primis – e il fatto che io non sia uno di quelli che usano condividere annunci e appelli.

Un eccesso di superficialità che mi ha spinto a non dare alcun seguito alla richiesta, il che è generalmente ciò che tutti facciamo di fronte a situazioni dalle quali non ci sentiamo coinvolti o in cui non riteniamo di poter essere utili.

Perché va bene essere disponibili, ma la cosa deve avere senso. Sennò a che serve?

Ogni giorno, in Italia, un blogger si sveglia e vuole visibilità sulla fiducia

Simile al caso appena visto, vediamo ora quanto è successo con un giovane blogger colpevole di voler sfruttare la visibilità altrui per far conoscere il suo neonato blog.

A differenza della storia precedente, questa volta ci troviamo di fronte al caso di un neofita che chiede aiuto a chi è più esperto e in vista di lui, ma senza aver mai dato prova delle proprie capacità. Un particolare, questo, che dovrebbe spingerci a porci una precisa domanda: per quale motivo una persona che gode di una certa stima e visibilità dovrebbe supportare qualcuno che ha ancora tutto da dimostrare? E se poi questo astro nascente dovesse rivelarsi un cazzone? Che figura ci farebbe?

Perché un conto è sponsorizzare qualcuno che, nel suo piccolo, ha già dimostrato di saperci fare; un altro, invece, è presentare al proprio pubblico un soggetto ancora in pieno stato embrionale, il quale non offre alcuna garanzia di qualità.

Morale della favola, anche in questo caso la mia risposta è stata: “No”. Anzi: “No, per questo, questo e quest’altro motivo. Prima fai vedere cosa sai fare, poi ne parliamo”.

Secondo voi ho fatto male? Sono stato stronzo? Fate vobis. Tanto, ormai, è andata.

La visibilità NON è tutta uguale!

Come accennato nell’introduzione di questo articolo, c’è visibilità e visibilità.

La visibilità richiesta è diversa da quella guadagnata, in quanto è figlia di un banale senso di cortesia. Cosa che, di solito, ci porta a non mettere né particolare cura, né palpabile entusiasmo in ciò che facciamo.

Prendete il caso del cane smarrito, ad esempio: quando vediamo scorrere certi appelli su Facebook, questi sono solitamente privi di qualsiasi elemento utile a impreziosirli, come un’introduzione, dei tag o delle emoji. Uno li prende e li butta sul suo profilo così come sono stati confezionati. Tanto per dire di averlo fatto.

La domanda è: sono veramente utili le condivisioni fatte in questo modo? Ve lo dico io: non servono a un cazzo. In pratica, è come se quei re-post non esistessero.

Al contrario, quando una cosa ci piace o ci coinvolge veramente, siamo i primi a condividerla, e lo facciamo con grande cura ed enfasi. Come è ovvio che sia.

Il mio consiglio, quindi, è quello di costruirvi una presenza social solida e di qualità, così da non aver più bisogno di andare a tirare la gente per la giacchetta.

Vi ci vorrà tempo, energia e attenzione, ma ne varrà la pena.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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