“Se le cose nun le sai, salle”, ovvero dell’importanza di fare domande

"Se le cose nun le sai, salle", ovvero l'importanza di chiedere

Boca sarà no ciapa mosche

Ci sono due cose che mia madre mi ripete sin da quando ero ragazzino. La prima è: “Se non hai capito una cosa, non fare di sì con la testa e chiedi che ti venga spiegata di nuovo”. La seconda, invece, è: “Se hai bisogno di un’informazione, chiedila”.

Due direttive semplici, ma che spesso ho teso e tendo tuttora a non seguire, magari perché non voglio fare la figura di quello che non capisce o non riesce a fare da solo, come quando mi perdo per strada e non chiedo indicazioni ai passanti.

In realtà, l’imbarazzo e l’orgoglio non sono gli unici motivi per i quali un soggetto può finire con l’evitare di chiedere ciò di cui a bisogno. La mancanza di creatività e la pigrizia, ad esempio, sono tra quei fattori che potrebbero limitare enormemente la nostra attività di raccolta delle informazioni, creando non pochi problemi.

Se poi stiamo parlando di business, allora il fatto di non voler chiedere o non saper come chiedere le cose può portare a risultati addirittura catastrofici…

Vediamo, quindi, perché è importante fare domande e come può essere fatto.

Il ristoratore timido

Mettiamo che io sia un ristoratore e desideri sapere quanti dei miei clienti hanno scoperto il mio locale tramite Facebook, Instagram o una ricerca su Google.

Non volendo porre la domanda di persona, sarò dovrò per forza trovare un modo alternativo per reperire le informazioni di cui ho bisogno, ed è proprio qui che casca l’asino, perché più tempo ci metterò a trovare un soluzione, più la quantità di risposte che avrei potuto raccogliere, ma non ho raccolto, aumenterà.

Il problema è che, intanto che mi faccio venire l’idea del secolo, la quale potrebbe arrivare tra un giorno, una settimana o un mese, io non ho solo non raccolto delle informazioni, ma ho gettato alle ortiche uno dei principali elementi su cui avrei dovuto definire il mio percorso imprenditoriale, ovvero il mio business.

Dopo che ho speso soldi per far costruire il sito Web, speso altri soldi per far gestire le pagine social da un Social Media Manager e speso altri soldi ancora per fare inserzioni a pagamento, logica vorrebbe che, oltre ad affidarmi ai più comuni tool di analisi (Google Analytics, Facebook Insights, etc.), mi attivassi sin da subito per capire sul campo quali sono i canali che stanno funzionando bene e quali no.

Perché vanno bene i click, i fan, i “Mi piace”, gli share e tutto il resto, ma se poi la gente che entra nel mio locale viene tutta da Google, allora è possibile che sul piano del Social Media Marketing ci sia un problema. E per arrivare a capire questo devo chiedere ai miei clienti dove e come mi hanno trovato. Non posso fare altro.

La buona notizia è che, se proprio non volessi porre la domanda diretta a tutti quelli che entrano nel mio locale, potrei comunque affidarmi a dei semplici escamotage.

Io ne ho visti adottare alcuni piuttosto interessanti…

L’analogico tira ancora

Chiarito che il domandare, per quanto imbarazzante possa essere, è e rimane la via più sicura e rapida per ottenere ciò che si vuole, c’è comunque qualcosa che, da ristoratore provetto quale sono (per finta, ovviamente), mi potrei inventare.

Tra le tante cose che ho visto fare a dei veri ristoratori, mi viene in mente la possibilità di lasciare su ogni tavolo un espositore contenente un bloc notes, due matite e una piccola urna. Un po’ come fa 100 Montaditos, per intenderci.

L’idea è che sul blocco siano presenti tutte quelle domande che vorrei porre al cliente e le cui risposte potrebbero tornarmi utili in ottica business.

Riprendendo il caso di prima, potrei, ad esempio, inserire la domanda: “Come ci hai conosciuti?”, seguita dalle opzioni Facebook, Google, Consiglio di un amico, etc. Adocchiato il kit, il mio cliente potrebbe quindi decidere di ammazzare l’attesa rispondendo alla suddetta domanda, per poi riporre la sua risposta nell’urna.

Una cosa piuttosto semplice, no? È sufficiente comprare alcuni espositori e scatoline da IKEA, realizzare il bloc notes online o in tipografia, prendere un barattolone di matite e il gioco è fatto. Tempo di realizzazione: una settimana. Due, al massimo.

Mi direte: “Eh, ma mica tutti avranno voglia di rispondere!”. No, tutti sicuramente no, ma intanto diamo la possibilità alle persone di esprimersi, che poi, tanto o poco che sia, il feedback che ci tornerà indietro ci sarà comunque utile.

Se poi non vi andasse di realizzare un apposito blocco, potreste provare a sfruttare le tovagliette di carta che mettete al tavolo: su una metà il menu, sull’altra metà le domande. Oppure, ancora, se nel vostro locale i clienti scrivono l’ordinazione su di un taccuino, potreste posizionare le domande sul retro di ogni foglio.

Insomma, industriatevi! Se proprio non ve la sentite di chiedere direttamente ai clienti, tirate fuori le informazioni di cui avete bisogno nel modo più creativo che riuscite a escogitare, e vedrete che vi risponderanno in molti.

La consapevolezza è tutto

Premesso che so che le mie proposte possono apparire strambe, sono fermamente convinto che, quantomeno per quanto riguarda le attività che hanno un contatto diretto con il pubblico, molte realtà maturerebbero una maggiore consapevolezza dell’utilità (o inutilità) dei propri investimenti nel digital se cercassero di misurarne il ritorno in prima persona e in modo squisitamente analogico.

Il che, se riportato in parole povere, si traduce in: se volete sapere come sta andando la vostra attività di promozione online, lasciate stare le vanity metrics con cui vi crogiolate su Facebook o Instagram e chiedete ciò che desiderate sapere ai vostri referenti, tramite domanda diretta o metodi alternativi a voi graditi.

Ce la potete fare. È nel vostro interesse farcela.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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