Come portare un’azienda al collasso e vivere infelici

Le 6 dinamiche che portano un'azienda al collasso

Un viaggio chiamato lavoro

Giusto qualche giorno fa, ripensavo al fatto che ormai sono 12 anni che lavoro.

Un periodo piuttosto lungo, il quale affonda le sue origini in quello che, poco più che 20enne, era il mio inarrestabile desiderio di raggiungere quanto prima l’indipendenza economica.

Un desiderio, questo, che mi costrinse a scontrarmi duramente con i miei genitori, i quali volevano vedermi laureato e sognavano per me un futuro da impiegato, magari all’interno di qualche prestigioso gruppo bancario o in qualche struttura pubblica, tipo un Ministero.

Una visione tanto svilente quando terrorizzante, specie per uno che di giornate tutte uguali, sorrisi di circostanza e camicie col collo inamidato non ne ha mai voluto sapere.

Quel che feci 12 anni fa, dunque, fu scegliermi una professione, quella di grafico e web designer, certo del fatto che fosse il web il non-luogo in cui avrei trovato la mia dimensione ideale.

Ebbene, guardandomi indietro, posso dire che, grazie alle scelte ed ai sacrifici di allora, sono riuscito ad evitare quel futuro da fossile incravattato al quale volevano condannarmi, regalandomi la possibilità di vivere ed osservare dall’interno numerose realtà.

Ho visto aprire tante aziende, così come ne ho viste altrettante chiudere. A volte il lutto è stato improvviso e doloroso; altre, invece, si è rivelato decisamente più facile accettarlo, in quanto i segnali che le cose non stessero andando per il verso giusto erano più che evidenti.

È di questi segnali che voglio parlarvi in questo post, ovvero di tutte quelle dinamiche che l’esperienza mi spinge a classificare come segnali di un malfunzionamento critico, il quale, se lasciato incancrenire, rischia di portare un’azienda al definitivo collasso.

Allarme! Quest’azienda si autodistruggerà in 3, 2, 1…

Al fine di rendere questo personalissimo elenco più chiaro, ho deciso di suddividere le dinamiche da me riscontrate in 3 categorie di gestione:

  • Gestione della visione e della missione aziendale
  • Gestione della comunicazione (interna ed esterna)
  • Gestione delle risorse umane e del lavoro

Ognuna importante. Ognuna meritevole di essere affrontata con la dovuta competenza.

Gestione della visione e della missione aziendale

Mancanza di identità

Visione e missione sono elementi necessari affinché una realtà aziendale possa definirsi tale.

Quando un’azienda non ha una sua identità, allora a mancare è il concetto di azienda stessa.

Fornire sin dal principio una risposta chiara a domande quali: “Chi siamo?”, “Cosa facciamo?”, “Dove vogliamo arrivare e perché?” è fondalmentale e il non farlo equivale al non esistere.

Se domani vi svegliaste in preda ad un’amnesia, ovvero senza ricordare chi siete, cosa fate, dove stavate andando e perché, come pensate che affrontereste il mondo? Ve lo dico io: male. Lo affrontereste male e finireste con il fare i vagabondi per il resto della vostra vita.

La stessa sorte tocca alle aziende che non hanno una loro identità, né degli obiettivi. Ovvero quelle che si propongono per fare tutto e niente, che si impegnano in attività per le quali sono totalmente impreparate e che non hanno la minima idea di cosa vogliano fare da grandi.

Sono tutte realtà destinate a collassare su se stesse. Dalla prima all’ultima.

Gestione della comunicazione

La comunicazione, si sa, è un elemento fondamentale per la stabilità di un sistema.

Pertanto, la mancanza della stessa, che si riscontri all’interno dell’azienda o dall’azienda verso l’esterno, equivale ad un biglietto di sola andata per l’inferno. Cambia solo il tragitto.

Mancanza di comunicazione interna

Pensate al corpo umano: cosa succederebbe se le comunicazioni tra cervello e arti venissero improvvisamente interrotte? Succederebbe che, tempo un nanosecondo, ci ritroveremmo faccia a terra, in preda al panico più nero e totalmente incapaci di risollevarci.

Lo stesso accade quando all’interno di un’azienda non c’è comunicazione, ovvero quando il cervello non sa cosa fa il braccio e viceversa. Il sistema si paralizza, autocondannandosi, così, ad uno stato di immobilità che non lascia scampo.

Per questo è importante che tutti gli elementi che compogno un’azienda comunichino costantemente tra loro. Si fa tutti parte di un corpo unico, quindi dove va uno, va anche l’altro.

Una condizione, questa, che necessita di un continuo ed imprescindibile scambio di informazioni.

Mancanza di comunicazione verso l’esterno

Un’azienda che si chiude in se stessa è un’azienda destinata ad implodere, in quanto taglia fuori la fonte della sua stessa sussistenza, ovvero il mondo esterno.

Pensate a tutte le email che avete inviato a un ristorante per effettuare una prenotazione ed alle quali non avete ricevuto risposta. Pensate a tutte quelle volte in cui volevate usufruire di un servizio, ma chi era in grado di offrirvelo si è dimostrato irrintracciabile. Pensate, infine, agli inviti che avete inoltrato con l’obiettivo di discutere di un possibile affare, ma che sono stati ignorati.

Non sono, forse, tutte situazioni in cui, visto il mancato feedback, avete poi deciso di lasciar perdere e di depennare il vostro interlocutore dalla lista dei contatti?

E’ per evitare questo che un’azienda dovrebbe abbandonare la politica del silenzio e curare la comunicazione con l’esterno, anche quando a cercare il contatto è qualcuno o qualcosa che, spesso a causa di una malsana superbia, non si reputa siginificativo o “di un certo peso”.

Gestione delle risorse umane e del lavoro

Questo, tra tutti, è di certo l’aspetto che ho avuto modo di approfondire maggiormente.

Non avendo mai ricoperto un ruolo dirigenziale, infatti, ho sempre fatto parte di quelli che definisco “i bastardi senza gloria”, ovvero coloro che lavorano dietro le quinte e che, numericamente parlando, rappresentano, però, la fetta di capitale umano più consistente.

Le seguenti dinamiche riguardano la gestione di questo capitale, il cui valore, spesso e volentieri, finisce con l’essere sottostimato. Un errore, questo, che si paga con l’autodistruzione.

Assenza di ruoli definiti

L’assenza di ruoli definiti, ovvero di una rigida distrubuzione dei compiti basata sulle competenze del signolo, è forse il problema che ho più frequentemente riscontrato.

Se in un’azienda “tutti fanno tutto”, allora l’unica ad avere un ruolo definito è la confusione.

Una confusione, questa, che non solo mette in crisi chi si ritrova ad esserne avviluppato, ma i cui effetti ricadono anche sulla qualità dei risulati, i quali, visto che “tutti fanno tutto”, sono figli di un lavoro che non si può certo definire specializzato.

Questa situazione interessa soprattutto le aziende di piccole dimensioni, all’interno delle quali, spesso e volentieri, chi si trova a tenere le redini non avverte la necessità di dare una struttura rigida al proprio team di lavoro, contando sulla versatilità dei membri che vi appartengono.

Il problema è che, se ad un individuo viene affidata formalmente la mansione di data entry, cosa per la quale è skillato, poi non lo si può mettere a fare, anche solo sporadicamente, il grafico o il community manager. Perché non è quello per cui è stato preso nella squadra.

Stravolgere il legame tra individuo e ruolo, in assenza della necessaria formazione e di un doveroso adeguamento contrattuale, provoca effetti devastanti, tanto sulla persona, quanto sul suo operato. Effetti che, il più delle volte, si riflettono anche sul lavoro del resto del team.

Assenza di un ricambio delle risorse

Anche nelle favole aziendali più belle capita che qualcuno decida di cambiare aria, magari per andare a posizionarsi altrove o anche solo per mettersi alla ricerca di qualcosa di meglio.

Questo, di per sé, non è un problema, a patto che il ruolo ricoperto dal soggetto uscente sia prontamente riassegnato ad una “forza fresca” con le medesime competenze.

Troppe volte, infatti, quando qualcuno abbandona la nave, piuttosto che mettersi alla ricerca di un valido sostituto, si preferisce ridistribuire i suoi compiti tra coloro che rimangono.

Un breve e concordato periodo di transazione durante il quale “ci si arrangia” è fisiologico, specie nelle piccole realtà, ma questo non può diventare la norma.

Un team nato per sviluppare prodotti per il web, se perde il suo web designer, ma desidera comunque mantenere intatta la sua produttività, ha bisogno di un nuovo web designer e non, ad esempio, di un copywriter che, a causa delle esigenze, venga riadattato a web designer.

Come detto nel paragrafo precedente, quella del “tutti fanno tutto” è una politica pericolosa per la salute dell’azienda, in quanto genera confusione, malessere e perdita dell’identità.

Mancanza di investimenti nella formazione

L’ultima dinamica sulla quale mi preme porre l’accento riguarda “il brutto vizio” che certe aziende hanno nel non considerare importanti gli investimenti nella formazione.

Chi lavora nel settore tecnologico, lo sa: il panorama cambia continuamente e chi rimane indietro, come si suole dire, è perduto. E con “perduto” si intende “finito”, se non fosse chiaro.

Programmare degli investimenti nella formazione, dunque, non è un’opzione, né “un più”, ma un’attività che un’azienda che vuole rimanere competitiva è tenuta a fare.

Il problema è che molti imprenditori dell’ultimo minuto sono convinti che, una volta messo in piedi un team di lavoro, questo debba mantenersi aggiornato in modo del tutto autonomo.

Ebbene, non è così che funziona. E’ l’azienda a doversi prendere cura della preparazione di chi ne fa parte, senza distinzione di classe o di ruolo: dallo stagista fino al top manager.

Fare impresa è un’impresa e non è per tutti

In conclusione, trovo bellissimo il fatto che si decida di dare vita ad un proprio progetto imprenditoriale, specialmente in Italia, dove le cose sono tutt’altro che semplici, ma se avete intenzione di mettervi in carreggiata, prima assicuratevi di essere all’altezza del compito.

Fondare un’azienda non è un gioco e l’azienda in sé non è il giocattolo di chi l’ha fondata.

Avere una mente imprenditoriale significa prima di tutto guardarsi dentro, andando alla ricerca di quelle caratteristiche utili a far sì che le dinamiche di cui sopra non si verifichino.

E non fate l’errore di considerarvi dei super-uomini solo perché, a livello personale, avete collezionato un successo dopo l’altro. Siete solo dei bravi professionisti. Niente di più.

Fare impresa è un’impresa e non è per tutti.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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