Ho detto no a un ottimo lavoro per questioni di principio. E non sono pentito

Ho detto no a un ottimo lavoro per questioni di principio. E non sono pentito

Tra stupidità e coraggio la differenza è sottile

Una settimana. Tanto è durata la mia ultima esperienza da Social Media Manager all’interno di un’azienda, ovvero come lavoratore dipendente.

Le premesse per fare bene c’erano tutte: un solido progetto; un gruppo di lavoro fatto di persone competenti e piacevoli; un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio davvero invidiabile.

Tutte cose che mi avevano convinto a dire di sì e a mettere quella benedetta firma. Eppure, una volta preso possesso della mia postazione, ho capito che c’era qualcosa che non andava. Qualcosa che mi avrebbe impedito di vivere quest’esperienza con la dovuta serenità.

E quindi ho detto no, rinunciando all’incarico che mi era stato proposto.

Ora che questa breve parentesi si è conclusa, voglio raccontarvi il perché di questa mia scelta.

Conoscere la persona, andando oltre il ruolo

Tutto ebbe inizio un mercoledì di novembre, quando il CEO di una nota startup italiana mi contattò su LinkedIn. Il suo modo di porsi, così schietto e informale, mi conquistò sin da subito. È raro, infatti, che qualcuno adotti un atteggiamento del genere; quantomeno nei miei confronti.

Fu così che io e il Signor P – del quale ometto l’identità per ovvi motivi di privacy – decidemmo di organizzare un primo incontro; e poi un secondo, giusto qualche settimana più tardi.

Più che dei veri e propri colloqui conoscitivi, quelle tra me e il Signor P si configurarono quasi naturalmente come delle piacevoli “chiacchierate”. Certo, l’argomento portante fu il lavoro, ma credo di poter dire che l’aver aperto numerose e vivaci parentesi su temi come la musica, dal metal alla leggera italiana, e la comunicazione non sia dispiaciuto a nessuno dei due.

Chiacchierate, dunque, che mi coinvolsero anche sul piano culturale e umano e delle quali, indipendentemente da come poi è andata a finire questa storia, porterò sempre un bel ricordo.

L’impressione che mi lasciò il Signor P fu quella di una persona con cui c’era una certa affinità, sia intellettiva che di visione. Fattore, questo, che ci avrebbe permesso di lavorare bene.

E quindi, sì: ero pronto a diventare il “suo” Social Media Manager.

Una situazione imbarazzante e una domanda

Arriva la fine del 2017 e con essa la proposta di assunzione. Erano anni che non ne vedevo una.

Faccio tutto quello che la burocrazia prevede che sia fatto e, circa due settimane più tardi, lunedì 15 di gennaio alle ore 9:00 antimeridiane, mi presento nel mio nuovo ufficio.

Terminate le presentazioni di rito e preso possesso della mia postazione di lavoro, comincio a esaminare gli strumenti e le risorse a mia disposizione. Tra queste me ne viene segnalata una di particolare importanza: un documento redatto dalla persona che si occupava dei social prima di me e nel quale sono illustrate nel dettaglio tutte le attività di cui si faceva carico.

È in questo momento che inizio a sentirmi confuso e fanno capolino i primi dubbi.

Sì, perché di tutto quello che era scritto in quelle 3 o 4 pagine di spiegazione, il passaggio dedicato alle attività di Social Media Marketing occupava non più di 3 righe. Tutto il resto, infatti, descriveva procedure legate ad attività che con la gestione delle risorse social del brand non c’entravano nulla. La redazione di articoli, ad esempio. O la correzione, sia dal punto di vista grammaticale/sintattico, sia da quello della SEO, di blog post realizzati da altri. O ancora: l’inserimento di dati nel database collegato al prodotto principale dell’azienda.

Insomma, a rappresentare il grosso del lavoro del mio predecessore era un nutrito insieme di attività di scrittura (o Web Content Editing, come direbbero quelli bravi), revisione di bozze e inserimento dati (o Data Entry, sempre per fare piacere a quelli bravi). Il tutto condito dalla quotidiana gestione di una fitta rete di contatti, ognuno con un proprio ruolo a seconda del task.

Non vi nascondo che, essendo stato nominato Social Media Manager dell’azienda, l’idea di dover svolgere anche tutta una serie di attività slegate dalla gestione dei canali social mi creava più di qualche problema… Sono addirittura arrivato al punto di pormi un’inquietante domanda: Ma non è che io e il Signor P, nonostante i due incontri, non ci siamo capiti? Eppure anche lui lavora per il Web da anni. Anzi, anche da più anni di me!”.

Respira, analizza, produci

Nei giorni seguenti, approfittando della temporanea assenza del Signor P, ho avuto modo di analizzare a fondo la situazione in cui mi trovavo. Di fatto, mi sono sentito di fronte a due strade: la prima consisteva nel “fare pippa”, come si dice a Roma, e adeguarmi a quello che era il lavoro del mio predecessore; la seconda, ben più ostica, era cercare di chiarire la situazione con il Singor P. e, sulla base delle risposte ricevute, decidere se e come procedere.

Ovviamente scelsi la seconda opzione. Non volendo, però, attendere il ritorno del Signor P in modo improduttivo, in quei 2 giorni mi sono comunque occupato di svolgere alcune analisi, mettendo le mie osservazioni e proposte nero su bianco. Ho redatto delle relazioni, insomma: una di tipo “personale”, all’interno della quale, basandomi sulla guida lasciatami dal mio predecessore, espongo la mia visione in merito a come avremmo dovuto organizzare il lavoro e il modo in cui avrei dovuto operare; un’altra, invece, in cui analizzo lo stato dei canali social collegati al brand, illustrando come avrei voluto procedere al fine di rimetterli in pista.

Terminata la stesura, ho inviato le mie due relazioni al Signor P.

Cosa significa Social Media Marketing?

Arriva il venerdì e il Signor P fa ritorno in ufficio.

Dopo il caffè di rito, decidiamo di prenderci un po’ di tempo per affrontare in privato le questioni da me sollevate. Prima su tutte, quella riguardante il mio ruolo di Social Media Manager.

Visto che sarebbe impossibile riassumere circa un’ora di confronto, permettetemi di condividere con voi solo quella che io e il Signor P abbiamo scoperto essere l’origine del problema.

Ebbene, a creare questo abnorme misunderstanding tra me e il Signor P è stato il diverso significato che affidiamo alla parola “Social”, inteso come “Social Media Marketing”.

Sì, perché, mentre io con “Social” intendo tutta quella serie di attività legate alla gestione dei canali social di un brand, di un’azienda o di un individuo, il Signor P include nella stessa anche numerose attività extra-social, come la creazione di blog post, la redazione di articoli e tutto quello che tipicamente può essere inquadrato nel concetto di Web Content Editing.

Avendo scoperto che il Signor P ha del Social Media Marketing questo tipo di visione, ora capisco perché si aspetta che un Social Media Manager come me si metta a scrivere articoli, correggere quegli scritti da altri, curare la SEO, inserire dati in un database o nella maschera di qualche CMS proprietario e tante altre cose “non-social”.

Purtroppo, però, “l’omino” deputato a fare quelle cose lì non è il Social Media Manager. È un altro. O meglio, per fare tutte le cose che ho letto nella guida redatta dal mio predecessore ce ne sarebbero voluti anche più di uno. Non solo perché erano tante, ma soprattutto perché richiedevano competenze diverse. Spesso anche molto, molto, molto diverse.

Attenzione, quindi, a come usiamo le parole in un settore come quello del Digital: “Social Media Marketing” significa “Social Media Marketing”. Che non è Search Engine Optimization, non è Web Content Editing, non è grafica e non è neanche Data Entry. È Social Media Marketing e basta. E se non siamo sicuri del significato di questo o altri termini legati alle professionalità del Web, faremmo un gran regalo a noi stessi e al mondo intero andandocelo a studiare.

Sono troppo vecchio per queste stronzate [cit.]

Prima di salutarci, permettetemi di condividere un ultimo pensiero.

Io avrei anche potuto accettare questo lavoro, chinarmi e mettermi a fare quello che mi veniva chiesto di fare. Però ho quasi 35 anni, ormai. Il factotum l’ho fatto per una vita e l’idea di tornare a svegliarmi tutte le mattine per andare a fare una cosa che non amo e che, nel caso specifico, non credevo mi sarei trovato a fare, mi ha portato a rinunciare.

Sarebbe andata a finire che mi sarei ammalato. Di nuovo. E non me lo posso permettere.

Ho scelto di fare il Social Media Manager perché lavorare coi Social mi piace e qualcuno dice che mi riesce anche bene. Se un’azienda ha bisogno di uno che non è specializzato in niente, però fa tutto quello che gli viene ordinato, in giro è pieno di ragazzetti senza alcuna preparazione pronti a fare qualsiasi cosa per un rimborso spese da 250€.

Poi, però, se i risultati non arrivano perché si è voluto risparmiare affidando il lavoro di 5 persone a un unico soggetto non specializzato, di chi è la colpa?

A ognuno il suo mestiere, per il bene dei risultati e di chi lo svolge. Questo è il mio principio.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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