Tra educazione, chiarezza e criterio: dobbiamo reimparare a comunicare

Tra educazione, chiarezza e coerenza: dobbiamo reimparare a comunicare

Più comunico, meno capisco

Circa un anno fa, non riuscendo a classificare alcune email che avevo ricevuto, decisi di mettere mano al mio account Gmail e creare una nuova cartella.

Tale cartella, che scelsi di chiamare Mah, io boh, è ad oggi quella che contiene il maggior numero di messaggi, anche più delle sue due sorelle Lavoro e Facebook.

Ad accomunare le email contenute in Mah, io boh non è un elemento tecnico, né un tema di fondo, ma la sensazione di smarrimento che ho provato la prima volta che le ho lette. E le ho lette tutte, eh. Alcune anche più e più volte.

Sono fondamentalmente 3 i tipi di email che raccolgo in Mah, io boh:

  • Quelle il cui mittente non ha ritenuto necessario né salutare, né presentarsi;
  • Quelle contenenti esplicite richieste di informazioni o di aiuto, ma totalmente prive dei dati utili a realizzare un’analisi e fornire una risposta;
  • Quelle che, visto il contenuto, non dovevano certo essere inviate a me, ma piuttosto al centro assistenza di Facebook, Twitter o qualche altro servizio.

Le criticità che ho riscontrato in questi messaggi, quindi, non sono di natura tecnica, ma riguardano la capacità di comunicare, coinvolgendo 3 dei più importanti elementi della comunicazione: educazione, chiarezza e criterio.

Che ne dite, quindi, di rivederli insieme?

Educazione

Se avete più di 30 anni, sicuramente vi ricorderete di quando, da ragazzini, per contattare un amico bisognava chiamarlo a casa e farselo passare dai genitori.

“Buongiorno Signora, scusi il disturbo. Sono Simone. Davide è in casa?”. Questa la formula che ero solito adottare e che, in un certo qual modo, adotto ancora.

Certo, oggi non mi capita più di telefonare a casa dei genitori dei miei amici, ma la sequenza Saluto → Presentazione → Richiesta è quella che, tanto al telefono, quanto per iscritto, utilizzo ogni volta che ho la necessità di interfacciarmi con un estraneo.

Premesso che non è sempre necessario essere estremamente formali, se si sta contattando qualcuno per la prima volta, l’esordire adottando i più elementari principi dell’educazione è il miglior modo per mostrargli rispetto.

Evitiamo, quindi, di fare come il tipo che l’altro giorno su Messenger mi ha scritto solo: “Come si eliminano i fan inutili?”. Non è affatto un bel modo di chiedere aiuto.

Chiarezza

“Ciao, ho un profilo su IG, ma non capisco perché i fan non crescono. Che posso fare?”.

Tralasciando per un attimo l’aspetto dell’educazione, che anche in questo caso manca totalmente, c’è da chiedersi come può l’autore di un messaggio del genere sperare che l’altro possa fare un’analisi e dargli una risposta. Che fa, se la inventa?

La mia sensazione è che spesso ci dimentichiamo che chi legge le nostre email o risponde alle nostre telefonate non è nella nostra testa, né possiede la sfera di cristallo. Quindi, quando abbiamo bisogno di contattare qualcuno per chiedergli un’informazione o un aiuto, dobbiamo sforzarci di essere chiari ed esaustivi.

Mi rendo conto che, specie quando si parla di digitale, per alcuni possa essere difficile immaginare quali siano le informazioni da dover trasmettere, ma se, ad esempio, si parla di un sito Web che si vede male su mobile, almeno il dominio (es. www.ciccio.it) bisogna comunicarlo. Non farlo, infatti, sarebbe un po’ come se io chiamassi Just Eat per ordinare una pizza, ma senza dare il mio indirizzo. Come dovrebbero fare a recapitarmela? Chiedendo in giro dove abita Bennaker?

Come minimo arriverebbe fredda…

Criterio

Tra le prime email salvate nella cartella Mah, io boh, ce n’è una il cui testo che recita: “SBLOCCATEMI L’ACCAUNT TUITTER”. Esattamente così come l’ho scritto.

Ora, mettendo da parte il fatto che non è TUITTER, ma Twitter, e che sul web (email comprese) lo scrivere tutto maiuscolo equivale a urlare, siamo di fronte a un tipo di messaggio che l’autore avrebbe dovuto mandare a Twitter stessa, non certo a me.

Questo mi ha un po’ ricordato tutte quelle volte in cui, magari perché si è sparsa la voce che lavori col computer, la gente ti scrive per sapere perché non funziona lo smartphone, il drone non decolla, la lavastoviglie butta acqua, il pace maker vibra…

Vero è che il termine tecnologia raccoglie sotto di sé un’infinita varietà di ambiti e strumenti, ma se ci aspettiamo che uno che disegna siti sappia risponderci alla domanda: “Perché non mi prende il telefono?”, allora siamo fuori strada.

Quando contattiamo qualcuno, quindi, assicuriamoci che l’oggetto della nostra domanda sia effettivamente di sua competenza, ovvero che quella persona sia in grado di fornirci ciò di cui abbiamo bisogno. Altrimenti sarà solo tempo perso.

Torneremo ai graffiti e ai grugniti (?)

È da ormai parecchio tempo che mi sono convinto di una cosa: la nostra comunicazione sta sì subendo un cambiamento, il quale è in gran parte dovuto all’enorme mole di strumenti tecnologici che ogni giorno utilizziamo, ma non si tratta di un’evoluzione, bensì di un’involuzione. Un ritorno al passato, quindi.

La persona che, ad esempio, ti contatta senza salutare, né presentarsi, è probabile lo faccia perché non considera il fatto che dall’altra parte del monitor c’è una persona come lui, quindi non adotta quei canoni minimi di cui parlavo prima.

Questa, secondo voi, è un’evoluzione o un’involuzione della comunicazione?

Perché siamo così goffi, approssimativi, superficiali, gretti quando comunichiamo attraverso la Rete e i mezzi digitali? E ancora, sono più quelli che comunicano male sempre o quelli che sbagliano l’approccio solo ed esclusivamente online?

Cominciamo a farcele queste domande, perché il futuro è sempre più orientato alla comunicazione digitale e, se non cominciamo a correggerci già da oggi, domani potremmo trovarci parecchio male.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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