Sono un teenager, non ho bisogno di leggere prima di condividere

Sono un teenager, non ho bisogno di leggere prima di condividere

Ogni contenuto ha il suo pubblico e viceversa

Da circa due mesi mi occupo della gestione delle risorse social di alcune webzine, ovvero curo quella che è la loro attività su Facebook e Twitter. Il grosso del lavoro, come potete facilmente immaginare, consiste nel condividere gli articoli che via via vengono pubblicati, cercando ogni volta di essere il più accattivante e coinvolgente possibile.

L’obiettivo di questa gestione, infatti, è quello di catturare l’attenzione degli utenti, nella speranza che, una volta ottenuto il loro interesse, questi approfondiscano la lettura e magari si producano anche in un qualche tipo di interazione (“Mi piace”, ricondivisione, commenti, etc.).

Questo nuovo e stimolante incarico mi permette di osservare da vicino il rapporto che gli utenti hanno con i contenuti editoriali realizzati per il web. Rapporto, questo, le cui caratteristiche non dipendono solo dalla piattaforma sulla quale contenuti e utenti si incontrano, ma anche e soprattutto dal target di riferimento, ovvero dal tipo di pubblico al quale un articolo è rivolto.

Una signora di mezza età, ad esempio, interpreta e vive il web e i social network in modo solitamente molto diverso rispetto a un ragazzino neanche maggiorenne.

Ed è proprio dell’approccio che i teenager hanno con i contenuti editoriali condivisi sulle piattaforme social che vi voglio parlare in questo articolo. Dai risultati che quotidianamente esamino, infatti, emerge un panorama che, almeno personalmente, mi lascia piuttosto turbato.

Seguitemi e vi spiego perché…

Giovani, belli e superficiali (?)

Come dicevo, in questi due mesi ho avuto modo di mettere a confronto l’effetto che i diversi contenuti hanno sulla fascia di pubblico alla quale essi sono rivolti.

Ciò che ho potuto notare in merito ai teenager è che, anche se l’articolo e la sua condivisione sono confezionati in modo coerente ed efficace, i più giovani (13 – 17 anni) saltano a piè pari l’approfondimento, ovvero la lettura dell’articolo, e passano direttamente all’interazione.

Un esempio concreto di tale valutazione è rappresentato in questa tabella…

Risultati tweet

Quelli che vedete sono i risultati ottenuti da un tweet con il quale io stesso ho condiviso un articolo riguardante due giovani promesse della musica italiana. Artisti, questi, che potremmo tranquillamente definire “idoli delle ragazzine”, come lo erano i Take That quand’ero ragazzino io.

In pratica, quando si scrive di cinema, musica o televisione per un pubblico giovane, è sufficiente che il pezzo nomini l’idolo del momento per assicurarsi like/cuori (299) e ricondivisioni/retweet (455), tanto l’articolo in sé nessuno lo legge (33 click sul link).

E sì, so perfettamente che anche molti adulti “piaciano” e ricondividono alla cieca, ma tra approfondimento e interazione il divario non risulta essere comunque così ampio.

Le cause del condividere senza approfondire

I numeri ci forniscono un’indicazione, ma sta comunque a noi darle la giusta interpretazione.

Chiediamoci, dunque, perché questi ragazzi interagiscono molto, ma approfondiscono poco.

Si tratta di supeficialità? Pigrizia? Inguenuità? Oppure, molto più semplicemente, è solo una questione di età e quindi ci penserà il tempo a far nascere in loro il desiderio di conoscere veramente le cose prima di dichiarare il proprio apprezzamento e condividerle con gli altri?

Come solito, l’ultima parola spetta a voi.

Alla prossima!


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Simone Bennati

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7 risposte

  1. AndyT ha detto:

    Azzardo una difesa per giustificare almeno una percentuale di questo gap: magari il senso della condivisione è qualcosa del tipo:

    “A me non frega una beata mazza di [inserire idolo pop a caso], ma la mia amica [inserire Cecy, Ile, Lilly o altri soprannomi scemotti a scelta] lo “lovva” tanto, quindi retwitto e “laiko” così lei lo vede e se lo va a leggere”

    (notare la mia bravura nel tradurre in teenager-ese :P)

    Potrebbe essere così?

    Lo spero, anche perché le altre ragioni sono troppo inquietanti (decerebramento collettivo, uso di fakebot a tutto spiano…)

    • Simone Bennati ha detto:

      Una specie di social-altruismo, insomma… Beh, di certo è una visione che mi sento di etichettare come positiva, ma purtroppo credo sia improbabile che il motivo dominante sia effettivamente questo. Personalmente vedo come ben più realistico, ad esempio, il fatto che il teenager di turno si lasci prendere dall’euforia nel momento in cui adocchia un contenuto che riguarda il suo beniamino e che sia proprio questa euforia a spingerlo a interagire. Una sorta di “smania” figlia dell’adorazione, nonché dell’ingenuità.

      • AndyT ha detto:

        Così magari finiscono persino per condividere un post che fa a pezzi il loro idolo…

        • Simone Bennati ha detto:

          Possibilissimo! Se non peggio. Immagina se, ad esempio, io avessi costruito un tweet come quello dell’esempio, ma linkando (magari attraverso un URL shortener) una pagina contenente script malevoli o materiale violento/pornografico…

  2. Alessandra Arpi ha detto:

    Ciao Simone,

    credo sia un argomento su cui si possa costruire un dibattito lungo una vita, che apre mondi su sociologia a manate e via dicendo.

    Molto interessante il tutto, sarebbe bello davvero avere l’opinione di un sociologo in merito, oltre che a esperti di comunicazione.

    Io, da seconda categoria, posso dirti che la condivisione a man bassa e alla cieca potrebbe essere un bisogno radicato di crearsi un’etichetta, un’immagine di se stessi da mostrare agli altri.

    “Leggo questo (o fingo di averlo fatto), condivido questo, magari lo commento anche senza averlo letto (e lì casca l’asino), perché io faccio parte di uno specifico gruppo che sui social fa questo, questo e quest’altro”

    In fondo rimane molto semplice farsi un’idea sommaria di una persona sui social scorrendo l’ultima settimana di profilo Facebook/Twitter o altro che sia. Facile, non corretto. Però così è.

    Costruirsi un’identità fa sempre parte della crescita, se poi la crescita avviene in un’epoca digitale, in cui quello che ho pubblicato stamattina è già vecchio, non si perde tempo a leggere. Forse un po’ cinica come idea.

    Comunque complimenti per aver sollevato l’argomento, da approfondire.

    • Simone Bennati ha detto:

      Ciao @alessandraarpi:disqus,
      premetto che non avrei mai immaginato di poter scrivere un post del genere. il rapporto tra adolescenti e social network non mi ha mai interessato particolarmente, ma visto che la situazione professionale che ho descritto mi ha messo nella condizione di affacciarmi all’argomento, a questo punto ho pensato di approfittarne 🙂

      L’idea che il condividere alla cazzo di cane (perdonami se sintetizzo in modo così brutale) sia motivato dal bisogno di darsi un’etichetta è piuttosto diffusa. O meglio, è una delle ipotesi che vanno per la maggiore tra coloro con i quali ho avuto modo di discutere di questo argomento.

      E’ anche vero che gli adulti non si comportano in modo molto diverso: sono tanti, infatti, gli utenti dei quali leggo quotidianamente i commenti e che con le loro parole dimostrano di essersi fermati al titolo dell’articolo di turno. C’è però una gap decisamente più ridotto tra condivisori/commentatori e lettori.

      Magari, oh, è veramente solo questione di età e quindi, come accade per molti altri aspetti, bisogna solo aspettare di crescere per capire certe cose.

      Staremo a vedere!

      Grazie per essere passata di qui, Alessandra :*

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