Employee Advocacy: a favore o contro? I risultati del sondaggio
Vuoi essere “solo” un dipendente o qualcosa di più?
Di quali siano i vantaggi derivanti dal coinvolgimento diretto dei membri di un’azienda, dal CEO al semplice dipendente, in quella che è la strategia social della stessa, ho già parlato più volte.
Ciò che non tutti sanno, però, è che l’attività volta a rendere i propri dipendenti dei veri Brand Ambassador (o Corporate Ambassador) possiede un nome ben preciso: “Employee Advocacy“.
Un termine, questo, la cui definizione data da Wikipedia è:
Employee Advocacy is a term used to describe the exposure that employees generate for brands using their own online assets.
E riguardo al quale viene specificato che:
It has been shown time and time again that employee advocacy can have a major impact on revenue. According to the National Business Research Institute, a 12% increase in brand advocacy generates a 2x increase in revenue growth. It has also been found that socially engaged companies are 57% more likely to get more sales leads.
Negli USA, dove l’Employee Advocacy è particolarmente diffusa, sono molte le aziende attive in questa direzione: da Dell a IBM, passando per Cisco ed altri grandi nomi dell’industria.
Lo stesso non accade in Europa: secondo alcuni studi, infatti, i dipendenti europei sono 3 volte meno propensi a diventare “brand ambassador“ rispetto a quelli statunitensi.
È in ragione di questo dislivello che, qualche settimana fa, ho pensato di lanciare un nuovo sondaggio su Twitter, attraverso il quale mi sono permesso di chiedere: “Sfrutteresti mai i tuoi profili social personali per far conoscere, promuovere e valorizzare l’azienda per cui lavori?”
Vediamo insieme i risultati…
L’Employee Advocacy secondo gli italiani
Come avrete sicuramente intuito dal titolo di questo paragrafo, le quasi 350 risposte arrivate hanno confermato l’esistenza di una certa antipatia nei confronti dell’Employee Advocacy.
Tuttavia, i risultati ottenuti dipingono una realtà caratterizzata da 3 diversi schieramenti:
- Quelli che utilizzano già i loro profili social per dare visiblità all’azienda;
- Quelli che, al contrario, non metterebbero mai a disposizione i propri canali personali;
- Quelli che lo farebbero solo in cambio di un riconoscimento in denaro.
Questo il tweet contenente il sondaggio e la percentuale ottenuta da ogni risposta:
Ciò che mi ha stupito di più di questi risultati è stato il constatare che, a fronte di un 36% che si dichiara assolutamente non disponibile, c’è comunque un 29% che già da tempo utilizza i propri profili social per promuovere l’azienda per cui lavora, nonché un 9% che sta iniziando a farlo.
Il panorama, dunque, nonostante la presenza di una larga percentuale che rifugge l’Employee Advocacy e chiude le porte ad ogni possibilità di ripensamento, non è poi così nero.
Quella di essere pagati, inoltre, specie se consideriamo il fatto che siamo in un Paese in cui difficilmente un’azienda gratifica il proprio dipendente in modi diversi da quello economico, potremmo considerarla una richiesta più che comprensibile. Direi quasi scontata.
La mia azienda non mi ama, quindi io non amo lei
Prima di concludere questa analisi, vi sia utile sapere che, tra coloro che hanno risposto “Mai e per nessun motivo” ed hanno voluto motivare per esteso il loro voto, la stragrande maggioranza ha addotto come motivazione il fatto che non si sente parte dell’azienda per cui lavora, in quanto questa non si è mai curata di valorizzare i dipendenti sulla base delle loro attitudini e capacità, né di farli partecipare attivamente alla vita aziendale (il cosiddetto “Employee Engagement”, il cui significato è ampiamente illustrao su Wikipedia).
E forse è proprio questo il dato più importante che emerge dai risultati di questo sondaggio: i dipendenti non si sentono “amati” dalle aziende per cui lavorano, indi per cui non sono disposti a fare più di quello che il loro ruolo prevede che facciano.
Non mi rimane, dunque, che invitare tutti gli imprenditori all’ascolto a riflettere sull’entità dell’occasione che (forse) stanno sprecando non valorizzando la forza lavoro di cui dispongono.
Alla prossima!
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In effetti…
Ma poi: quante aziende sarebbero davvero disposte a concedere un’autorità simile ai propri dipendenti?
Un team in grado di influenzare la percezione del proprio datore di lavoro avrebbe un potere contrattuale molto, molto più alto…
Non mi aspettavo potessimo giungere a parlare addirittura di “autorità”, a dire il vero.
L’Employee Advocacy è un’opportunità, “un più”, ovvero qualcosa che, se strutturato con la giusta cura e dedizione, può portare grane beneficio ad un’azienda. Si tratta di un lavoro di squadra, nel quale i giocatori sono tutti sullo stesso piano (CEO e “non-ceo”) ed ugualmente importanti. La crescita di un’azienda dovrebbe essere interpretata come un obiettivo comune, ovvero qualcosa che, se realizzato, porta benessere condiviso.
Non so, francamente, quali potrebbero essere i rischi derivanti da un Employee Advocacy “sano”, ovvero non forzato da chi sta sopra nei confronti di chi sta sotto. Nella mia ottica, se mi trovo bene in un’azienda X (e già questo, come abbiamo visto, è molto difficile) mi dovrebbe venire spontaneo promuoverla e questo dovrebbe essere apprezzato da chi si trova al vertice.
Nessuna “concessione di autorità”, dunque, ma semplice lavoro di squadra 🙂
Il problema è che non tutti sono in grado di lavorare in squadra 😀
Sai cosa ti dico? La Tua Azienda è
impegnata su una frontiera innovativa? Allora, condividi volentieri,
perché sai di fare qualcosa di buono non solo per te, ma per tutti.
Diversamente …
Me la prendo da me, nel piccolo della mia esperienza.A
me è capitato recentemente di scrivere un articolo, dove raccontavo una
mia esperienza presso il mio Datore di Lavoro. Non lo linkero’, per
discrezione, ma in questo articolo condividevo il fatto di aver ricevuto
un’assunzione a tempo indeterminato per attività di content curation di
informazioni di ordine giuslavoristico. Un contratto piuttosto
all’avanguardia, per funzioni digital, non molto in uso presso gli Studi
professionali di provincia. Certo, nel pezzo davo, per prima cosa,
risalto a me, poi indirettamente al mio Datore di Lavoro …
Salutoni