LinkedIn: come scegliere quali inviti accettare (e quali no)
Benvenuti su LinkedIn, dove l’uno NON vale l’altro
LinkedIn, famigerata piattaforma di social networking recentemente acquistata da Microsoft e considerata da molti come “il Facebook del lavoro”, rappresenta ad oggi uno di quei (pochi) contesti digitali in cui a contare è ancora la qualità, più che la quantità.
Se da un lato, infatti, la qualità delle informazioni presenti in un profilo può aiutarci a stabilire la professionalità del suo proprietario, dall’altro è ugualmente vero che a determinare l’efficacia della propria presenza all’interno della piattaforma sia la qualità della propria rete di contatti.
Ne consegue che, in termni di performance, l’unione tra un profilo poco curato e l’instaurazione di relazioni prevalentemente deboli può rivelarsi non solo inutile, ma addirittura dannoso.
In ragione di questo particolare rapporto tra causa ed effetto, l’accurata selezione degli inviti a connettersi gioca un ruolo fondamentale: solo una solida rete di contatti “certificati”, infatti, può assicurare quella continuità di interesse di cui un progetto di autopromozione ha bisogno.
In questo articolo voglio dunque illustrarvi i criteri in base ai quali valuto se accettare o meno le richieste di contatto che ogni giorno mi arrivano su LinkedIn.
“Sì, lo voglio”, ma solo se…
Esclusi i casi in cui la richiesta di contatto proviene da un profilo palesemente falso, come purtroppo ce ne sono molti su LinkedIn, sono fondamentalmente 3 gli elementi che vado ad analizzare in occasione dell’arrivo di un nuovo invito, ovvero:
- La quantità di contatti (follower compresi) posseduti dall’utente
- Quanti e quali di questi ha in comune con me
- In cosa è consistita la sua attività su LinkedIn negli ultimi 2 mesi
Permettetemi di spiegarvi punto per punto perché ho scelto di focalizzarmi proprio su questi 3 aspetti e che tipo di ragionamento porto avanti per ognuno.
Dimmi quanti contatti hai e ti dirò perché sei su LinkedIn
Così come su qualsiasi altra piattafroma social, da Facebook a Twitter, anche su LinkedIn ci sono utenti che hanno come unico obiettivo quello di “ingrassare” la propria lista dei contatti.
Difficile dire perché lo facciano, in quanto avere una lista dei contatti nutrita significa pote godere di numerosi vantaggi: primo su tutti, quello di assicurare ai contenuti che si intendono condividere sulla piattaforma una visibilità non indifferente.
Il problema è che un pubblico vasto non è sufficiente a garantire un alto numero di interazioni. Per raggiungere questo obiettivo, infatti, è necessario che tale pubblico sia interessato alle tematiche che si andranno via via a proporre.
Ne consegue che, se sono un cuoco e dei 1.000 contatti che ho solo in 100 si interessano di cucina, le ricette che andrò a condividere verranno verosimilmente prese in considerazione soltanto da 1 utente su 10. Il che, converrete con me, non è certo un buon risultato…
Ecco perché evito i “collezionisti di contatti”: non nutrendo interesse nell’instaurare un vero rapporto con chi li segue, inviano richieste alla cieca, sapendo che comunque qualcuno abboccherà ed andrà quindi ad ingrassare il loro “album di figurine”.
In quella che è la mia esperienza, ho notato che personaggi di questo tipo hanno solitamente dai 3.000 contatti in su. Indi per cui, la prima cosa che faccio quando mi arriva una nuova richiesta, è andare a vedere se l’utente supera questa cifra e, in caso di risposta affermativa, declino l’invito.
I contatti in comune: gli amici di Mario sono miei amici (forse)
Il secondo aspetto che vado a valutare riguarda i contatti in comune.
Se infatti un utente è arrivato a me attraverso Tizio, Caio e Sempronio, i quali utilizzano LinkedIn per condividere contenuti inerenti la materia che io stesso tratto, è assai probabile che ciò andrò a pubblicare possa suscitare il suo interesse e quindi si generi interazione.
Dobbiamo ricordarci, infatti, che LinkedIn è una piattaforma di carattere tendenzialmente professionale e che le persone si incontrano perché mosse da qualcosa che le accomuna, come può esserlo, appunto, l’ambito lavorativo.
Una dinamica, questa, che nella migliore delle ipotesi potrebbe anche portare anche all’instaurazione di nuove collaborazioni, ovvero ad una situazione in cui vincono tutti.
Condivisioni fuori luogo e inattività: il peggio di LinkedIn
Come ho anche scritto in un post risalente all’aprile scorso, sono tanti quelli che, a mio parere, utilizzano LinkedIn a sproposito, ovvero per condividere contenuti che con il contesto professionale non hanno niente a che vedere, quali selfie, citazioni, foto di gattini, etc.
Questo utilizzo “facebookiano” di LinkedIn genera in me una vera e propria repulsione, la quale mi spinge a controllare cosa ha condivisio l’utente in esame ancor prima di accettare il suo invito.
Lo stesso dicasi per l’inattività: se sei su LinkedIn, ma negli ultimi 2 mesi non hai né condiviso, né commentato o consigliato niente, allora non mi interessa entrare in contatto con te.
Se si è su LinkedIn, così come su qualsiasi piattaforma social, bisogna dimostrare che la propria presenza ha un senso ed un valore e l’unico modo per farlo è utilizzarla con criterio.
A che serve, infatti, far parte di un contesto se non lo si vive o lo si vive in modo scriteriato?
Meglio pochi, ma buoni
Mi auguro che quanto detto possa tornare utile a chi, magari perché iscrittosi da poco, non sa bene come muoversi e tende ad inviare ed accettare inviti in modo più o meno casuale.
Poter vantare 5.000 contatti su LinkedIn non significa saperlo utilizzare, ma solo aver capito come si inviano richieste di contatto e come si risponde a quelle che si ricevono.
Avere una reale padronanza di una piattaforma così complessa è ben altra cosa…
Alla prossima!
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Purtroppo sono in tanti ad aggirarsi armati di righello virtuale, e disposti a tutti pur di mettere quel 1K o 10K accanto al proprio nome…
Sul genere “tacche sulla cinta”, per intenderci.